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Le intelligenze artificiali sono ormai sempre più diffuse, e attorno a loro si moltiplicano i dibattiti, soprattutto nella comunità dei designer. La critica più frequente è che rubino l’arte altrui: opere di artisti, progettisti, scrittori e creativi di ogni tipo. Negli ultimi giorni, come purtroppo accade spesso, sono diventate anche strumenti per rincorrere mode e trend sui social. Basti pensare all’utilizzo massiccio di ChatGPT e della sua nuova funzione avanzata di generazione immagini, che ha spinto molti a trasformare le proprie foto in illustrazioni nello stile artistico dello Studio Ghibili, o al trend di creare il proprio avatar in versione giocattolo confezionato.

Tendiamo a dimenticare una cosa fondamentale delle intelligenze artificiali: strumenti come ChatGPT, MidJourney o altri non sono auto-pensanti. Funzionano attraverso comandi impartiti dall’essere umano e si basano su modelli logici matematici. Sono strumenti, esattamente come lo è Photoshop. Le critiche generalizzate rivolte alle AI oggi, ricordano molto quelle mosse all’arrivo di Photoshop, quando si accusava il software di aver messo nelle mani di tutti capacità prima riservate solo ai fotografi professionisti.

Nel campo del design, l’utilizzo delle sole AI non porta a risultati significativi se non c’è dietro una mente in grado di progettare. In questo senso, l’intelligenza artificiale è uno strumento prezioso, quasi come una banca d’immagini, ma con la differenza che offre maggiore controllo e libertà creativa. Permette di superare limiti, esplorare nuove strade, sperimentare.

Mi sono avvicinato all’intelligenza artificiale poco meno di due anni fa, in un momento per me difficile a livello lavorativo. Cercavo qualcosa che riaccendesse la voglia di progettare. All’inizio ero scettico, lo ammetto, ma ho scelto di affrontare questa novità senza pregiudizi, con la volontà di capire come questi strumenti potessero tornarmi utili come designer professionista.

Ad oggi, ho utilizzato in modo esplicito le AI solo in progetti personali, miei o di K95, o a scopi di ricerca con Adapative, ma sono diventanti strumenti quasi sempre presenti nel mio processo creativo. Le uso nella fase iniziale dei progetti, per dare rapidamente forma alle idee che ho in mente, diminuendo l’utilizzo di ricerca su Behance, Pinterest, Dribbble e simliari. Un tipo di  ricerca che prima mi portava via moltissimo tempo e spesso finiva per annebbiarmi le idee iniziali, un modo per arricchire le mie moodboard.

Quel che ottengo dalle AI non è mai un prodotto finito. Devo quasi sempre intervenire con Photoshop o Illustrator, a seconda del tipo di immagine, aggiungendo la mia conoscenza progettuale, miscelando tipografia, composizione e grafica. 

Uno strumento del genere, in mano a chi non ha formazione o esperienza, genera risultati spesso poveri, banali, pieni di errori e senza anima. Perché lo strumento da solo non basta: serve una mente creativa che lo sappia usare.

I clienti non vi pagano per l’esecuzione, ma per il processo progettuale che vi porta al risultato. È questo che dovete far capire a chi vi dice che il vostro lavoro vale meno perché “tanto oggi ci sono le AI”. E se chi vi sta davanti continua a non capire questo concetto, forse non è un cliente che meritate: probabilmente è solo in cerca di chi lavora sottopagato.

Ho visto con i miei occhi cosa riescono a generare alcune persone che si improvvisano designer usando l’intelligenza artificiale: immagini di bassa qualità, piene di difetti, senza alcuna visione creativa. Questo dimostra ancora una volta che lo strumento fa la differenza solo nelle mani giuste.

Chi deve temere le AI?

Chi ha rinchiuso la creatività dentro una gabbia di regole, chi ha sempre progettato nello stesso modo senza mai sperimentare. Per questi, il futuro sarà difficile. Ma voi, creativi veri, non ignorate le AI, altrimenti commetterete lo stesso errore di chi ha rifiutato il computer all’epoca del passaggio dalla grafica manuale a quella digitale. 

Inutile fare una guerra contro le intelligenze artificiali, non è qualcosa che si può fermare, al massimo si potrà regolamentare il copyright, in modo tale che fenomeni come il furto stilistico dello Studio Gibildi vengano evitati.

Evolvete il vostro pensiero, esplorate, conoscete: solo così potrete anche opporvi con efficacia agli utilizzi distorti di questi strumenti e sviluppare un pensiero critico concreto, non dogmatico.

Le Intelligenze Artificiali possono finalmente espellere dal design tutte quelle figure, non designer, teoriche che si sono infiltrate in questo settore grazie a “prestigiose” università di fuffa. Questo è un momento storico in cui noi designer possiamo prenderci una rivincita.

In sintesi, l’intelligenza artificiale rappresenta una risorsa potente nel campo del design, ma il suo valore dipende dall’uso che ne facciamo, così come ogni strumento, social inclusi. Come designer, è nostro compito integrare queste tecnologie nel nostro processo creativo, senza perdere di vista l’importanza della nostra esperienza, intuizione, la sensibilità artistica, il Fattore H (Umano). Solo così potremo sfruttare appieno le potenzialità offerte dall’IA, mantenendo al contempo l’autenticità e l’originalità che contraddistinguono il nostro lavoro.

Non si ha alternativa se no abbracciare l’innovazione, ma con responsabilità, rendendo questo strumenti servitori al nostro cospetto.