Ma chi te lo fa fare di dire certe cose?
È una domanda che mi ha rivolto, con affetto, un ragazzo che segue da tempo il mio lavoro e quello di K95. Me l’ha chiesta durante una conversazione sincera, in un momento per lui difficile, in cui la sua fiducia sul mondo del design sembra vacillare.
Quella domanda semplice, ma profonda, ha acceso un confronto che mi ha spinto a riflettere ancora una volta su cosa significhi davvero fare questo mestiere.
Avrei voluto citarlo, ringraziarlo pubblicamente, ma ha preferito restare nell’anonimato e rispetto la sua scelta.
Prima del design, la mia più grande passione era, lo è tuttora, l’hip hop. Non solo la musica, ma tutto ciò che ruota attorno a quella cultura.
Se oggi faccio grafica, lo devo anche a questa passione. Alle superiori iniziai a studiare programmazione: il mio obiettivo era creare un sito dedicato alla figura di Tupac Shakur, artista che ho sempre amato.
Nacque così 2paclegend.it, che dal 2005 al 2010 è stato uno dei punti di riferimento italiani per i fan di Tupac. Eravamo un team di otto persone, mossi solo dalla passione. Nessun guadagno. Solo amore per quello che facevamo. Fui costretto a chiuderlo a inizio 2011 per mancanza di tempo nel gestirlo.
Dopo il diploma, mi iscrissi all’Accademia di Belle Arti di Catania spinto dalla presenza di un corso dedicato al Web Design, volevo esplorare il lato più creativo della progettazione Web.
I primi tre anni furono piuttosto anonimi. Poi, durante l’ultimo anno, arrivò l’incontro che cambiò tutto.
Un docente di Graphic Design cercava qualcuno che sapesse programmare in PHP per rifare il sito dell’Accademia. Fu il mio insegnante di Web a presentarmi. Quel contatto fu uno degli incontri più importanti della mia vita professionale.
Vide qualcosa in me. Mi diede fiducia e sotto la sua guida mi misi a studiare grafica senza tregua: tentativi, errori, notti insonni. Mi spinse a continuare con il biennio specialistico e divenne mio insegnante, ma anche un mentore esigente, infine relatori di tesi.
L’esame finale con lui fu uno dei più duri, ma anche uno dei più formativi del mio percorso di laurea.
Poi arrivò la prima vera esperienza lavorativa e con essa l’incontro con un’altra figura fondamentale del mio percorso formativo: mi insegnò il valore dell’estetica, l’importanza della forma come espressione dell’identità.
Mi sono innamorato della grafica per la sua etica, la sua storia, le battaglie che l’hanna resa ciò che è.
Proprio come per l’hip hop.
In questi due mondi lontani tra di loro, ho trovato gli stessi valori: passione, sacrificio, identità. Da essi ho appreso un grande insegnamento:
Se ami qualcosa, devi proteggerla, anche a costo di ferirti.
Il design mi ha dato tanto: il poter mantenere una famiglia, riconoscimenti e soddisfazioni, ma è stato anche causa di molte ferite. Non il design in sé, ma il sistema politico e poco meritocratico che spesso lo circonda, gli ambienti tossici, le dinamiche distorte.
La prima ferita arrivò con l’unica esperienza lavorativa fatta all’estero: un contesto sbagliato, nelle mani sbagliate. Ma anche da lì sono uscito più forte, ma soprattutto con nuovi amici e colleghi. Un’esperienza che mi lasciò tanta rabbia, che riuscì a sbollire nell’arco di due anni, che ebbe il merito di dare il via alla fondazione di K95, insieme a Dario Leonardi.
La seconda batosta fu ancora più dura. Un errore di valutazione in un periodo personale e molto delicato della mia vita. Per quella scelta, dettata solo dal desiderio di avere un ritorno economico maggiore, ho rischiato di perdere me stesso e tutto ciò in cui avevo sempre creduto prima.
Stavolta risollevarmi è stato più difficile, anche perché non più ventenne e con una famiglia sulle spalle.
Mi ero ritrovato in un ambiente che rappresentava tutto ciò che avevo sempre combattuto.
Mi sentivo complice di un sistema che avevo aspramente criticato in passato.
Così ho fatto un passo indietro. Anzi, molti passi.
Sono tornato al punto zero. Ho cercato di ritrovare me stesso, di riaccendere la fiamma che si era affievolita, ho trovato l’aiuto di pochi, ma cari amici, il sostegno di una moglie presente e la conoscenza di nuove persone che hanno creduto in me.
Anche io, nel periodo più buio mi sono chiesto se ne valesse veramente le pena.
Sì, ne vale.
Se ami qualcosa, la difendi fino in fondo. Se odi qualcosa, devi provare a diventarne l’alternativa.
Nessuno ha il diritto di dirti quanto vali. Nessuno può spegnere la tua voce.
Provate a costruire un’alternativa non solo per voi, ma per tutte le persone che cercano, come voi, un’altra via.
Il design non è morto. È vivo. Ma va difeso!
Difeso dai tanti cialtroni che lo svuotano della sua cultura, da chi lo trasforma in spettacolo e intrattenimento o chi da strumento di marketing.
Da chi lo riduce a un fattore di business (senz’anima), spesso a discapito della salute mentale di chi lavora con passione e amore in questa professione.
La vera domanda è:
Vale la pena restare fermi e lasciare il campo a chi tratta questo mestiere come una vetrina, anziché come un linguaggio?
No!
Quindi lo dico ancora una volta, lottate! Difendete ciò che amate. Sempre.