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Nel 1999 Eminem girò il videoclip di I Don’t Give a Fuck”, uno dei singoli estratti dal suo album di debutto. A un certo punto del video EM si trova dentro un carrello della spesa spinto da alieni. Era una rappresentazione di come il rapper vedeva il mondo, di come si era sentito fino a quel momento fuori da tutto, ma consapevole di avere qualcosa da dare rispetto a tanti altri.

Frame tratto dal video clip “I DON’T GIVE A FUCK” di Eminem – 1998/1999.
https://www.youtube.com/watch?v=psd-RF6noEI&ab_channel=EminemExplicit

Ecco, quel sentirsi fuori dal mondo è una sensazione che oggi provano in tanti. Troppi.
È il risultato di mille fattori sociali che si intrecciano e ci fanno sentire all’interno di un Truman Show.

Personalmente non riesco più a scrollare Linkedin per più di qualche secondo. Mi invade una sensazione che è un misto tra nausea e umorismo pirandelliano. C’è gente che lavora nel campo del design o del marketing che si assegna ruoli dai nomi infiniti, pieni d’inglesismi, tutti esperti di qualcosa. Product designer che provano orgasmi davanti a un’interfaccia “usabile”, anche se scontata, piatta, noiosissima. Esperti di marketing che si emozionano per le trovate pubblicitarie discutibili dell’azienda di turno che produce biscotti e poi ancora quelli che fino a ieri schifavano un certo tipo di design, perché non era “abbastanza business” e oggi ci fanno master e corsi.

E quindi: come si resta sani in mezzo a un mondo in cui ci si sente Alieni? In una società che chiede solo performance, che misura il valore in base al successo, ma che sta generando un’infelicità silenziosa totale. Talmente silenziosa che parlarne ti espone al rischio peggiore: essere tu stesso escluso.

La gente di talento sta iniziando a sparire. Il livello si sta drasticamente abbassando. E no, non è colpa dell’AI: è solo una scusa. Il talento non viene più premiato, soprattutto in paesi come l’Italia. E così, le strade sono tre:

1. Si molla tutto per fare altro nella vita, sempre più designer lo fanno, anche bravissimi e di talento, a 35 o 40 anni si sentono prosciugati.

2. Si continua a denti stretti, ribellandosi.

3. Si accetta tutto e si diventa complici per sopravvivere al sistema stesso, con l’infelicità che ne consegue.

Attenzione: ribellarsi oggi non vuol dire fare il bastion contrario e alzare il dito medio. Vuol dire essere consapevoli, banalmente non essere mediocri. in una società che esalta la mediocrità generale.

David Carson ha iniziato così. Ribellandosi. Perché aveva capito in che direzione stava andando il mondo. Aveva previsto il dominio del digitale sulla stampa dieci anni prima che iniziasse ad accadere davvero. E lo ha fatto in modo semplice: fregandosene del parere degli altri designer. Iniziando a fare quello che gli piaceva, coniugando passioni e lavoro, cercando una libertà che non fosse solo creativa, ma esistenziale.

Ne ha presa tanta di merda Carson, ma è andato avanti con stile. E anche chi era agli antipodi del suo modo di lavorare, come ad esempio Massimo Vignelli, lo rispettava, elogiava il suo lavoro. Perché chi non ha paura del cambiamento riconosce la grandezza anche in chi è diverso da sé.

Ribellarsi significa creare linguaggi nuovi, non seguire quelli della massa. E sì, anche se non si dice più: il talento del singolo può superare il lavoro di un intero team.

Il design è stato reso grande da persone, non da gruppi. Ma oggi ci si rifugia nella squadra, nei ruoli, nei workflow, perché si ha paura, paura di essere soli, di non essere all’altezza, di non saper reggere il peso delle proprie scelte e della propria responsabilità, si ha paura che i designer possano da soli coprire quei ruoli che qualcuno ha inventato per fare qualcosa nella vita. Molti quasi del tutto inutili.

Così qualcuno prova a riscrivere la storia del passato: si citano a memoria i 3 libri di successo di Bruno Munari, ma non sanno dirti nulla del Munari uomo, del Munari artista, genio, sperimentatore, che probabilmente nell’epoca attuale sarebbe stato un E.T. disperso, alla ricerca della propria casa, forse anche lui dentro un carrello spinto da alieni. Non ti raccontano mai di come Munari si rifiutò di essere parte di una certa casta, con umorismo e ironia, prendendo anche in giro certa gente e certi sistemi che iniziavano a farsi strada nel design già 40 anni fa.

Stiamo vivendo il peggior incubo di Albe Steiner: un mondo del design povero di idee e coraggio, in mano a tanti venditori di fumo.

E poi succede che a un evento di design incontri realtà come E.T. Studio, che ti raccontano di come il caos, il dolore possano generare bellezza, di come loro si impegnano a farlo, respiri un po’ di ossigeno, ti senti meno solo e il fatto che il loro nome richiami gli alieni rende DEL tutto più armonioso questo discorso.

Io ci aggiungo anche la rabbia. Quella buona. Quella che ha spinto tanti a diventare leggende, nella musica, nello sport, nell’arte, in tutto ciò che sia profondamente umano. Non per i soldi, ma per rendere indelebili i propri sforzi, ispirando poi a catena tanti altri.

Per questo ribellarsi è anche amare. Amare così tanto quello che fai da accettare di vivere in modo dignitoso, senza lussi, ma libero dal sistema.

Libero di essere se stessi. Di sperimentare. Di respirare design a un livello che molti non possono nemmeno immaginare e a cui mai potranno arrivare.

C’è chi sceglie di mantenere la propria realtà piccola, composta da 2 / 4 persone proprio per restare liberi, mentre altrove ci si perde in pitch, budget, cadenze editoriali e articoli su Engage per dimostrare che si è “i migliori” nel mondo del business, dei big money, di ciò che ormai conta per tanti, ma non per tutto per fortuna. Lì dove si va a cena col potente di turno, con la lingua consumata, in modo da passare da zero a cento solo perché c’è qualcuno dietro a spingere, no per reale meritocrazia, così fosse sarebbe un mondo migliore. Fino a che quel qualcuno potente non si stufa e passa al prossimo giocattolo.

E allora lasciate a quelli come noi almeno il diritto di essere se stessi, di fallire, sporcarci, sbagliare e rialzarci, ma soprattutto di divertirci, essere fieri di fare grandi cose anche se piccoli, senza dover dimostrare nulla a nessuno, senza accettare compromessi, né guinzagli.

Preferiamo parlare con i fatti. Preferiamo perderci e ritrovarci, piuttosto che venderci. E questo possono capirlo in pochi, ed è grazie a quei pochi che il design continua a evolversi, che la sua parte migliore continua a vivere, grazie a tutti coloro che hanno scelto di essere diversi, ribelli.